Ore nove del mattino.
Sono già in ritardo per il lavoro. Schiaffo la macchina in
tripla fila, metto le regolari
quattro frecce, balzo come un felino (…) giù dalla macchina e mi fiondo nella
prima panetteria che mi capita. Tanto, in genere, il pane è tutto uguale, anche
quello in panetteria: friabile, cartonoso, molle e con una vago retrogusto di
finocchio, di anice –che siano i famigerati “miglioratori”? –quindi una vale
l’altra.
Questa, poi, la conosco già: è senza infamia e senza lode,
ci sono capitata già altre volte e ho trovato il solito pane e la solita pizza
mediocri.
Però oggi la focaccia ha un aspetto diverso. Più soffice, più ricco, con le
parti belle unte di olio, come
piace a me, bianca e meno cotta dove acqua e olio sono stati più abbondanti. E
anche il panettiere è nuovo: è un ragazzo giovane, avrà nemmeno
trent’anni. Ed è anche simpatico,
disponibile e disposto alla chiacchiera senza essere pesante: “se le piace più
unta, di olio gliene metto quanto vuole”, mi dice. Mi sembra un buon esordio.
E poi vedo anche delle belle biovette. Colorite il giusto, né troppo cottè né
troppo chiare, mi fanno l’occhiolino dalla vetrina. “Mi dia anche due biovette,
per favore”.
E poi mi azzardo a chiedere, presagendo già la risposta: “Avete anche della pasta dura?”
“No, pasta dura non la faccio”.
E visto che il tipo è simpatico e socievole mi appresto a
chiedere di svelarmi il segreto della pasta dura: “Ma perché in tutta Torino è
quasi impossibile trovare della pasta dura?”
“Mah, non la mangia più nessuno, non la chiedono, non piace
molto. Nemmeno a me piace..”
E nemmeno a me, in effetti: troppo secca, troppo asciutta,
troppo friabile, troppo….dura! Ma a mio figlio, a Gabriele, sì, quindi sono sempre alla ricerca di nuove
panetterie che la vendano, per avere dei punti di riferimento.
Peccato che poi il simpatico panettiere aggiunga: “La pasta
dura la mangiano a Ferrara, ma qui…la mangiano solo più gli anziani, i vecchi…
è una pane da vecchi”. Ah,
grazie! Che bel buongiorno!
E poi, non pago, aggiunge pure, sempre sorridendo: “E in
effetti, anche le biove sono un pane da vecchi…le faceva nemmeno mio padre, le
faceva mio nonno!”
Carino lui!
Prendo la mia focaccia, le mie biove, pago e risalgo in
macchina.
Con il mio pane vecchio. O meglio, da vecchi.
Il tempo passa per tutti.
E tutto ce lo ricorda, persino il pane che prediligiamo: inutile mettersi jeans e cuffiette, tutto potrà tradire i nostri lustri: pure
un’innocente, calda, fragrante biovetta.
O anche una pasta dura.
Foto: La confraternita della pizza, Taccuini storici
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.