venerdì 28 aprile 2017

PESCESPADA AVANZATO, LA COLAZIONE DI CHIARA APPENDINO QUANDO ERA BAMBINA





Biscotti e caffelatte, merendine e succo di frutta, tè e cereali? Ma figurarsi, tutta roba vecchia, obsoleta, da debosciati alimentari, reazionari senza speranza refrattari a ogni tipo di nuovo che avanza - pure a colazione -, gente senza palle e senza nerbo che inizia la giornata con pasti da mezzecalzette. Ma cosa mangia il grillino vero, quello tosto, quello duro e puro, che pur sotto le gentili sembianze del sindaco 5 Stelle di Torino Chiara Appedino - scusate, proprio dire “la sindaca” mi fa schifo assai -, una giovine fanciulla dagli occhi azzurri e il sorriso accattivante, nasconde l’animo del vero guerriero, temprato sin dalla più giovane età alle insidie della vita? Pescespada, mangia a colazione il futuro grillino, altro che latte e biscotti! E fin dalla più tenera età, da quando era infante: pane e e pascespada erano i cibi adatti a forgiare il futuro combattente, una colazione da campione che manco Rocky, con le sue dodici uova crude buttate già senza battere ciglio sarebbe riuscito ad eguagliare. Così racconta la sindaca (ok, l’ho detto) pentaseellata al Corriere della Sera, con quella grazia sabauda che fa passare come ovvie e banali anche cose che farebbero storcere il naso alla maggior parte dei comuni mortali. Intervistata su un comune e popolarissimo tram – sia mai che un grillino vero rilasci un’intervista in una bieca sede istituzionale - la Appendino, magnificando garbatamente la sua educazione rigorosa, afferma infatti che “da bambina non mi piaceva il pescespada. Un giorno, a pranzo, mia madre ne portò una bella porzione a tavola. Mi rifiutai di mangiarlo. I miei genitori mi dissero che avrei saltato il pasto. A cena, ritrovai il pescespada nel piatto. Lo rifiutai e andai a letto digiuna. La mattina dopo, a colazione, il pescespada era ancora lì. A quel punto lo mangiai. Ora mi piace molto». Che dire, della tempra della nostra amata sindaca nonché della sua premurosa famigliola? A casa mia, noi, razza di debosciati che non siamo altro, tale metodo lo applicavamo (o meglio ci abbiamo provato un paio di volte) esclusivamente ai tre gatti di casa, che avevano il viziaccio di pretendere che i bocconcini e croccantini fossero sempre freschi, da scatola appena aperta e mai quelli avanzati dal giorno prima, che riconoscevano prontamente anche solo al primo sguardo. Quelle poche volte che abbiamo tentato di applicare il metodo Appendino, cioè di lasciare nella ciotola un po’ di cibo “vecchio” (cioè della scatola aperta solo il giorno prima), al grido di “domani, quando avranno fame, li mangeranno”, siamo sempre capitolati dopo poche ore, rifocillando i viziati felini con cibo fresco, mossi da sentimenti vili e abietti quali umana pietà e sincera compassione. Forse è per questo che i miei gatti - né io o i miei genitori, tutta gente molle e incline a deboli sentimenti da cameriere d’altri tempi- non sono mai diventati sindaci di Torino, lasciando il posto a ben più versatili e agguerriti animali: i grilli, o meglio i grillini. E mentre rifletto su questi spartani costumi, ricordo che mia nonna, buonanima, a colazione alle 8 mangiava pane e gorgonzola, a volte pure con due acciughe e del bagnetto verde. Ma non è mai diventata sindaco neppure lei: probabilmente le mancava la militanza a 5 Stelle.

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