mercoledì 21 giugno 2017

RAGGI - APPENDINO: DALLA PADELLA ALLA BRACE






Sono peggio  i  balletti di nomine, le poltrone agli amici, i topi e la spazzatura di Virginia Raggi o i 1526 feriti di piazza San Carlo, la ragazza schiacciata dalla folla impaurita e le truppe antisommossa per arginare i centri sociali con cui per anni i grillini, di cui Chiara Appendino è il più alto esponente torinese, hanno fatto fronte comune nelle loro varie lotte “contro” tutti e contro tutti, dalla No Tav agli sfratti?
E’ un bella domanda, su una questione che dopo un anno di amministrazione di due tra le maggiori città italiane ad opera dei pentastellati, porta a conclusioni simili, di pressapochismo e superficialità.
Nel senso che dopo un anno di amministrazione, si può tranquillamente affermare che Raggi e Appendino condividono la loro comune palese inadeguatezza al ruolo  ricoperto. Ma se per quanto riguarda Virginia Raggi il suo stato catatonico e di  smarrimento di fronte all'ingrato compito che la attendeva è stato evidente sin dal principio, gli occhi azzurri e lo sguardo diretto della ragazza pedemontana avevano inizialmente tratto in inganno i torinesi, facendo sperare per il capoluogo sabaudo un destino diverso.
Invece, alle prime vere necessità di governare realtà complesse, oltre le solite trite iniziative cavallo di battaglia della sinistra sul  modello pic-nic in città e a  base di cortei gay pride, domeniche ecologiche e altre amenità del genere, il sindaco di Torino si è dimostrato non solo all’altezza della sua spaesata collega romana, ma è riuscita persino a superarla: il clima di pericolo e di insicurezza  respirabile a Torino, in ogni evento che comporti "l’assembramento" di più di tre persone - che siano davanti a un mega schermo a vedere una partita, che sia per sorseggiare un mohijto in zona Vanchiglia, uno dei tre quartieri torinesi a più alto tasso di movida - è concreto e quasi palpabile.
Non è con i “contro”, né con la beata spensieratezza né con la gioventù da sola che si governa, e nemmeno con iniziative bucolico-demagogiche e di facciata  modello “panem et circenses”, ma con competenza, autorevolezza ed esperienza.
Tutte doti che purtroppo, per Roma e Torino – ma anche nel resto d’Italia - sono state messe da parte, scegliendo, un anno fa, la novità, l’o-ne-stà sbandierata e l’inesperienza.  

E ora, ne paghiamo le conseguenze, tutti, anche chi in quelle novità,  in quella onestà, in quel movimento a base di urla e invettive e giovanotti disoccupati  e all’oscuro della grammatica italiana, ora saldamente assisi alle loro poltrone istituzionali e relativo stipendio, non ha mai creduto.

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