giovedì 9 novembre 2017

I GENITORI NON PAGANO? I FIGLI A PANE E OLIO: GIUSTO INDIGNARSI?



Allora, ha fatto tanto scalpore il fatto che la sindachessa di Montevarchi, Arezzo, abbia in questi giorni deciso di “lasciare a pane e olio” i bambini di una scuola  comunale in quanto i genitori, morosi da un pezzo, avevano bellamente ignorato decine di avvisi e solleciti di pagamento arretrati del servizio mensa continuando a far usufruire del servizio i loro pargoli come se nulla fosse.
Dopo tutti i tentativi andati a vuoto, l’amministrazione comunale ha deciso che ai bimbi delle famiglie morose fosse servita solo una fetta di pane con un po’ d’olio, la “fettunta”,  a fronte del mancato pagamento delle famiglie,oltreutto, riportano erroneamente alcuni, facendo accomodare i bambini in un tavolo separato, il cosiddetto “tavolo della vergogna”.
Ora, è chiaro che quando si toccano bambini e animali, al giorno d’oggi l’indignazione di bassa lega nonché i buoni sentimenti modello libro Cuore siano d’obblio, ma se ci si prendesse la briga di analizzare meglio la cosa si scoprirebbero diverse cose. Innanzi tutto non esiste nessuna gogna, nessun tavolo della vergogna: i bambini sono fatti accomodare assieme agli altri o, al limite, ai tavoli dove siedono quelli che si portano il pranzo da casa. Nessuna vergogna, nessuna discriminazione, solo la voglia di alcuni di cavalcare l’indignazione per acchiappare click e visibilità gratis.
Due, è vero, ai bambini è servito pane e olio. Ma è anche vero che le famiglie in questione non sono quelle meno abbienti,  a cui invece il pasto  è assicurato, riferisce il sindaco, ma famiglie abbienti, che semplicemente si “dimenticano” di pagare la mensa ai figli, col risultato di spalmare il costo su quelli che già pagano, e che magari sono meno abbienti di loro.  Inoltre, è da tenere presente che le mense non cucinano “a muzzo”, ma in base ai paganti: se ci sono utenze in più, il risultato sarà sempelicmente che non ci sarà cibo per tutti, con la conseguenza di dover, per poter servire tutti, ridurre le razioni  a coloro che giustamente pagano la loro retta. Risultato? Proprio per non privare gli aventi diritto del pasto completo da questi pagato ma non lasciare nemmeno i bimbi di genitori scellerati a bocca asciutta, si è pensato di fornire loro ugualmente un pasto, ma economico se pur salutare: pane e olio.

Certo, è vero che i pargoli nulla possono della scempiaggine di chi dovrebbe prendersi cura di loro, ma è anche vero che quando tutti le altre opzioni legali e amministrative vanno a vuoto, non rimane che la sospensione dell’erogazione del servizo, cosa che in questo caso non è avvenuta, ma solo ridimensionata sotta forma di pane e olio. Chi si scandalizza del comportamento della sindaca che lamenta un buco di 500.000 euro per pasti non pagati da famiglie abbienti, dovrebbe forse far mente locale e pensare che il cibo non è gratis, e che il loro comportamento da furbetti va a ledere tutta la comunità. Si fa presto a indignarsi contro lo stato bieco e affamatore, meno contro quei genitori che pretenderebbero di scaricare costi a cui sono perfettamente in grado di far fronte  sui soliti cretini paganti.  Pane e olio non sono arrosto e patate, ma non è nemmeno il nulla assoluto. A volte, prima di indignarsi, occorrerebbe riflettere.

mercoledì 8 novembre 2017

L'AMERICA SI FA "GREAT AGAIN" ANCHE MANGIANDO HAMBURGER





Ammiro Trump.
Mi piacciono i suoi modi diretti e il suo orgoglio nazionale, le sue idee sulla politica interna ed estera, la coerenza con quanto promesso in campagna elettorale e me ne frego dei radical chich che lo considerano poco più di letame e che, soprattutto, considerano alla stessa stregua anche i suoi sostenitori, compresi quelli che lo denigrano alla luce del sole per poi votarlo nel segreto dell’urna.
Il suo motto, “make America great again” non mi sembra da meno del tanto osannato “we can” obamiano e, per finire, mi piace la personale idea di alimentazione corretta.
Anche all’estero.
Recatosi nei giorni scorsi in visita in Giappone, Trump ha orgogliosamente snobbato sushi e sashimi per dedicarsi ai più familiari e rassicuranti hamburger e bistecche.
A cena con il primo ministro giapponese Shinzo Abe, Trump e signora si sono rifocillati con scaloppine Hokkaido alla griglia, bistecche e sundae al cioccolato, come riportato da Bloomberg, facendo pure salire le quotazioni della catena di ristoranti in qustione del 7% nel giro di un giorno. Non pago, recatosi al campo di golf, il presidente americano si è sbafato un succulento hamburger, confezionato appositamente per lui da una nota catena di hamburgerie e fatto esclusivamente con manzo americano. Gusti personali, certo, ma anche un modo per ribadire l’orgoglio di essere americano: io sono americano, diceva l’hamburger di Trump. Un nazionalismo, che in questi tempi di globalizzazione impostaci in ogni modo e di politically correct portato all’estremo, può suonare fuori luogo per qualcuno. Infatti, i commenti sui social si sprecano, da chi lo accusa di cafonaggine e mancanza di rispetto verso il Paese ospitante (dimenticandosi che probabilmente nessuno si sarebbe scandalizzato se al primo ministro giapponese in visita in America fossero stati offerti pranzi basati sulla sua cucina d’orgine) a chi ricorda che il correttissimo Obama, in analoga occasione, si era buttato su sushi e cibi tradizionali, ma anche chi lo sostiene e ne fa notare la coerenza: nel 1990, non ancora Presidente e recatosi ugualmente in Giappone, Trump aveva fatto sapere che “non vado certo lì per mangiare del fottuto pesce crudo”. E ora, a quasi vent’anni di distanza, Trump la pensa ancora così. Quale altro politico avrebbe la stessa ferma coerenza?