giovedì 16 febbraio 2017

ODE A ERMAL META






Era parecchio tempo che non seguivo Sanremo.
Frequentazioni musicali diverse, unite  forse ad un sano spirito snobistico che aveva contagiato anche la sottoscritta, mi avevano portato ad anni di astinenza dal Festival della canzone italiana.
Poi, quest'anno, edizione 2017, per una serie di cause, l'ho rivisto, assieme a Gabriele, che con i suoi tredici anni ha seguito la "kermesse" con piacere ed entusiasmo. E io ero lì con lui, davanti alla Tv.
E se devo ammettere che se comunque il mio entusiasmo è stato  minore di quello del  mio giovane pargolo,  ho avuto anche  alcune belle sorprese. No, non è stato il fare malmostoso della conduttrice che ora va via come il pane. Non è stata la profonda filosofia (...) del tormentone  - perchè così sarà -che ha vinto la competizione, né la solita, trita canzone della  Mannoia, brava sì, bravissima,  straordinaria interprete  ma basta per favore,  questo pezzo l'abbiamo già sentito tante volte, sempre lo stesso e sempre recitato nella stessa maniera.
No, non sono state queste le sorprese che mi hanno riappacificato con Sanremo, quindi no, ma il bel brano di Marco Masini e  poi, soprattutto lui, Ermal Meta.
Sconosciuto a me, prima della manifestazone, ma è bastato che intonasse le prime note della canzone di Modugno - non avevo sentito prima il suo pezzo, quello che è arrivato terzo nella gara - a farmi strabuzzare gli occhi.
Ecco, ora sì che c'è qualcosa di diverso, nell'aria.
C'è un ragazzo di origini albanesi che senza scimmie, senza filosofia da bar sport e richiami a dottrine orientale ormai appannaggio anche dei dodicenni, ha interpretato un brano di Domenico Modugno senza né stravolgerle ma sopratutto senza nemmeno ripeterlo paro paro. E senza soprattuto aver timore nello scegliere un brano così lontano dai trend attuali, da quanto oggi va per la maggiore. Diciamolo: un brano di cui, molti dei giovani di Sanremo, avrebbe forse avuto vergogna di scegliere o interpretare.
Ermal Meta,  invece, quando l'ho sentito iniziare con "Sole alla valle, sole alla collina", parole iniziali di "Amara terra mia" -  pezzo che conoscevo ben sin da piccola grazie a mio padre -  mi ha fatto strabuzzare gli occhi. Una voce intensa, una partecipazione profonda ma senza retorica, e infine la singolare, azzeccatissime idea del falsetto finale.
E non ho cambiato idea nemmeno quando ho ascoltato il suo brano, arriva al terzo posto, "Vietato morire". Un tema  profondo, inquietante ma cantato con leggerezza, senza retorica o senza interpretazioni eccessive o scenografiche.
La stessa interpretazione che lo ha visto ieri sera protagonista di un incontro alla Feltrinelli di  Porta Nuova, qui a Torino.
Siamo arrivati, io e Gabriele, nella piccola sala già gremita all'inverosimile, quasi tutti ragazzi giovani. E alle sei e mezza spaccate è arrivato lui, puntualissimo, tranquillo, sorridente, senza alcun atteggiamento o posa da divo. Ha preso la sua chitarra, ha scherzato con i ragazzi presenti e ci ha regalato quattro canzoni, al posto delle due previste - l'evento infatti non era un concerto, ma un incontro con i "fans" accompagnato da un intermezzo musicale. 
Sempre sorridente, tranquillo, Meta sprigionava un'energia tranquilla e vicina, come se fosse uno di noi, un ragazzo come un altro che imbracciava una chitarra tra amici. E che, così con leggerezza, vince il premio della critica a Saremo, arrivando anche terzo.
Finita la magia, si  è messo tranquillamente, sempre sorridente e disponibile, a firmare autografi. Per almeno trecento persone, tutte stipate per la strada e fuori dalla libreria per vederlo cantare. Noi, io e Gabriele, abbiamo avuto la fortuna, procurataci dalla sedia a rotelle di Gabriele, di essere i primi ad aver avuto l'autografo. Ma non è stato solo un autografo: è stato un abbraccio, un sorriso, un divertente scambio di battute, un paio di selfie assieme, un autografo con scritto " A Gabriele, il campione", con disegnato anche un cuore e un piccolo pentagramma con due note musicali. 
Gesti piccoli, certo, ma che fanno la differenza tra una "star"  che firma autografi per contratto e un ragazzo di talento che sentiamo così vicino.  E  che si sente vicino agli altri.  E  questo, la gente lo capisce.
Grazie Ermal, per le tue canzoni. Ma anche per essere così come sei.











domenica 12 febbraio 2017

LE POCHE GIOIE DI SANREMO





Quest'anno Sanremo mi ha riservato poche gioie. Come ogni anno, d'altronde.
Due, forse tre i pezzi che mi sono piaciuti. Il  resto è stato solo urla e  melodie trite-
Ma mi è piaciuto tanto Erval Meta. 
E non per la pur gradevole "Vietato morire", con cui si è aggiudicato il terzo posto sul podio, ma per la sua cover di un vecchio pezzo di Domenico Modugno, Amara Terra mia,  che mio padre ascoltava assieme a Louis Armstrong,  ai Platters e a Carosone  quando ero bambina. 
Un brano intenso,  di quelli "spessi", che prende spunto da un canto regionale abruzzese e che Meta ha interpretato  in modo magistrale mantenendo la stessa  calma dolenza dell'originale di Modugno ma arricchendolo di contributi nuovi e personali, come il singolare falsetto finale.  
E ci andava proprio un ragazzo venuto da un'altra terra, dall'Albania, per avere il coraggio di interpretare un brano come questo, lontano dalle mode sincopate dei ritmi attuali e dei testi passe- partout che comunque li giri van sempre bene. 
Diciamocelo:  nessuna delle nostre giovani  "promesse" avrebbe avuto il coraggio di scegliere un brano, e un interprete, così lontano nel tempo e nello spazio dalle mode attuali, così poco cool, così anche "vecchio", diciamolo. Ma "vecchio" nel senso migliore del termine, come si intendeva un tempo, quando vecchiaia era sinonimo di saggezza ed esperienza e non era una parolaccia e uno stato da nascondere dietro penose finte giovinezze, labbra a canotto e jogging nel parco.
E quindi bravo, e intenso Meta, sei stato il mio preferito da subito.
Così come anche Marco Masini, di cui non sono mai stata  una particolare cultrice e che ricordo solo per qualche sporadico pezzo lontanto nel tempo, nonchè  per la sua fama, un tempo, quasi di iettatore, un po' al pari della scomparsa  Mimì. 
Ebbene, il pezzo  - e quando dico pezzo io intendo sempre e soltanto  la melodia e la musica, perchè la parole sono spesso solo un contorno,  un di più che non dovrebbe inquinare la musica pura con messaggi o proclami, come già  fu la scelta di Battisti nei suoi ultimi anni -  il pezzo, dicevo di Masini mi è piaciuto. E molto. Certo, Masini non fa figo come cantare tiritere ritmate con testi da filosofia da bar sport,  ma io, che sono démodé e penso in solitaria, lo dico e lo confermo. Bravo Masini.
Ah, sì, e poi c'è la Mannoia. Sempre intensa e coinvolgente. Lei più che cantare, recita, interpreta intensamente. Ma provate a togliere l'interpretazione magistrale della Mannoia e il testo accattivante, e ascoltare la stessa melodia, la stessa canzone interpretata magari da Emma, o da Elodie: fa un altro effetto, vero? 
E quindi brava Fiorella, non per il pezzo  che sinceramente non mi  è piaciuto, ma per lei, per quel suo modo intenso e vissuto che a molti piace. Ad altri meno, ad altri ancora magari la retorica dell'interpretazione vissuta  non piace proprio per nulla,   ma tuttavia non possono comunque non  riconoscerete il valore e la bravura. E comunque è "lei" che ha vinto, lei, la sua persona, e non il brano. Avesse anche cantato la pappa col pomodoro si sarebbe piazzata lo stesso. 
E poi, c'è  il pezzo vincitore. 
Fa figo, fa trendy, è cool, e la massa lo sta già canticchiando, ballando e scaricando.
D'altronde, è solo questo che si richiede al vincitore di Sanremo, no?