sabato 23 dicembre 2017

IL POVERO CANNAVACCIUOLO PERSEGUITATO DAI NAS



Non c'è che dire, questa volta i Nas hanno davvero superato il limite!
Arrivati a tradimento nel nuovo bistrot torinese di Antonino Cannavacciuolo, ai piedi dell’esclusiva collina torinese, si sono talmente accaniti con pignoleria pretestuosa sul locale del povero giudice di Masterchef - sicuramente solo per portare a casa il risultato -  da fargli venire la voglia di andarsene, non si sa bene se da Torino o dall’Italia intera, mollare tutti gli affezionati clienti e darsi alla vita contemplativa. 
D’altronde, sono sempre più numerosi gli chef che minacciano di lasciare i patri lidi, chi per l’esito di un referendum, chi per una visita dei Nas, al punto che una sciagura simile dovrebbe essere annoverata tra i maggiori rischi del pianeta assieme ai passatempi nucleari di Kim Jong- un o ai giochi di guerra di Putin e co.
E d’altronde, il buon Cannavacciuolo ha ragione da vendere: cosa mai avranno trovato i Nas da fargli venire la voglia di andarsene dall’Italia? Mancavano gli asterischi vicino agli alimenti surgelati? E che vuoi che sia, pure nelle  trattorie più infime succede, e non si è mai lamentato nessuno. E poi, lo chef ha dichiarato che in effetti l’asterisco era sì solo al fondo del menù, e non vicino alle portate come dovrebbe essere per legge, ma è stato uno sbaglio “in buona fede”. La buona fede sana tutto, bastava una tirata d’orecchie e una reprimenda, invece sono partite le denunce per frode in commercio. Che inutile accanimento, ai danni di un povero ristoratore.
Ma tutta quella pasta surgelata, già bella pronta e condita, anche lei finita nel congelatore insieme a carpe e zucchini? Possibile che finisse pure lei, previo passaggio in forno, sulla tavola degli ignari clienti?  Assolutamente no, risponde sdegnato lo chef, quella “ce la mangiavamo noi, era un uso personale”. Uso personale, quindi perfettamente legale, principio traslato direttamente dal consumo di hashis e marijuana e applicato allo spaghetto allo scoglio. E poi “il cibo buono non si butta”, sentenzia eticissimo lo chef campano, e quindi i Nas, invece di tirar giù verbali a casaccio, avrebbero dovuto apprezzarne lo slancio ecologista e anzi, magari congratularsi con lui per la sua encomiabile iniziativa.
E che dire poi della materie prime non tracciate, o meglio non ancora registrate? “Semplicemente non sono state riscritte le schede dei singoli fornitori sui registri del ristorante. Evidentemente, negli ultimi tre giorni, nessuno ne aveva avuto ancora il tempo». Oh, ma vuoi smetterla con ‘sti cavilli burocratici che noi qui stiamo a lavorare e non abbiamo tempo da perdere, altro che stare lì a menarsela e mettersi a scrivere se il pesce viene dal mar Ligure, dal Lago Maggiore oppure dal Mekong!
Insomma, tutto un errore, tutto un qui pro quo: a fronte di queste minuscole inezie, conclude amareggiato lo chef, sarebbe bastato “avvertimento, un “non lo fare più”,  una pacca sulle spalle”.  Invece sono partite le denunce.  Ma chissà, se magari la prossima volta il buon Tonino offrirà ai Nas un po’ di pasta surgelata “, di quella buona,  per uso personale” sorvoleranno su tracciamenti e asterischi, e finirà tutto a taralluci e vino. Naturalmente, anche questi surgelati.


giovedì 9 novembre 2017

I GENITORI NON PAGANO? I FIGLI A PANE E OLIO: GIUSTO INDIGNARSI?



Allora, ha fatto tanto scalpore il fatto che la sindachessa di Montevarchi, Arezzo, abbia in questi giorni deciso di “lasciare a pane e olio” i bambini di una scuola  comunale in quanto i genitori, morosi da un pezzo, avevano bellamente ignorato decine di avvisi e solleciti di pagamento arretrati del servizio mensa continuando a far usufruire del servizio i loro pargoli come se nulla fosse.
Dopo tutti i tentativi andati a vuoto, l’amministrazione comunale ha deciso che ai bimbi delle famiglie morose fosse servita solo una fetta di pane con un po’ d’olio, la “fettunta”,  a fronte del mancato pagamento delle famiglie,oltreutto, riportano erroneamente alcuni, facendo accomodare i bambini in un tavolo separato, il cosiddetto “tavolo della vergogna”.
Ora, è chiaro che quando si toccano bambini e animali, al giorno d’oggi l’indignazione di bassa lega nonché i buoni sentimenti modello libro Cuore siano d’obblio, ma se ci si prendesse la briga di analizzare meglio la cosa si scoprirebbero diverse cose. Innanzi tutto non esiste nessuna gogna, nessun tavolo della vergogna: i bambini sono fatti accomodare assieme agli altri o, al limite, ai tavoli dove siedono quelli che si portano il pranzo da casa. Nessuna vergogna, nessuna discriminazione, solo la voglia di alcuni di cavalcare l’indignazione per acchiappare click e visibilità gratis.
Due, è vero, ai bambini è servito pane e olio. Ma è anche vero che le famiglie in questione non sono quelle meno abbienti,  a cui invece il pasto  è assicurato, riferisce il sindaco, ma famiglie abbienti, che semplicemente si “dimenticano” di pagare la mensa ai figli, col risultato di spalmare il costo su quelli che già pagano, e che magari sono meno abbienti di loro.  Inoltre, è da tenere presente che le mense non cucinano “a muzzo”, ma in base ai paganti: se ci sono utenze in più, il risultato sarà sempelicmente che non ci sarà cibo per tutti, con la conseguenza di dover, per poter servire tutti, ridurre le razioni  a coloro che giustamente pagano la loro retta. Risultato? Proprio per non privare gli aventi diritto del pasto completo da questi pagato ma non lasciare nemmeno i bimbi di genitori scellerati a bocca asciutta, si è pensato di fornire loro ugualmente un pasto, ma economico se pur salutare: pane e olio.

Certo, è vero che i pargoli nulla possono della scempiaggine di chi dovrebbe prendersi cura di loro, ma è anche vero che quando tutti le altre opzioni legali e amministrative vanno a vuoto, non rimane che la sospensione dell’erogazione del servizo, cosa che in questo caso non è avvenuta, ma solo ridimensionata sotta forma di pane e olio. Chi si scandalizza del comportamento della sindaca che lamenta un buco di 500.000 euro per pasti non pagati da famiglie abbienti, dovrebbe forse far mente locale e pensare che il cibo non è gratis, e che il loro comportamento da furbetti va a ledere tutta la comunità. Si fa presto a indignarsi contro lo stato bieco e affamatore, meno contro quei genitori che pretenderebbero di scaricare costi a cui sono perfettamente in grado di far fronte  sui soliti cretini paganti.  Pane e olio non sono arrosto e patate, ma non è nemmeno il nulla assoluto. A volte, prima di indignarsi, occorrerebbe riflettere.

mercoledì 8 novembre 2017

L'AMERICA SI FA "GREAT AGAIN" ANCHE MANGIANDO HAMBURGER





Ammiro Trump.
Mi piacciono i suoi modi diretti e il suo orgoglio nazionale, le sue idee sulla politica interna ed estera, la coerenza con quanto promesso in campagna elettorale e me ne frego dei radical chich che lo considerano poco più di letame e che, soprattutto, considerano alla stessa stregua anche i suoi sostenitori, compresi quelli che lo denigrano alla luce del sole per poi votarlo nel segreto dell’urna.
Il suo motto, “make America great again” non mi sembra da meno del tanto osannato “we can” obamiano e, per finire, mi piace la personale idea di alimentazione corretta.
Anche all’estero.
Recatosi nei giorni scorsi in visita in Giappone, Trump ha orgogliosamente snobbato sushi e sashimi per dedicarsi ai più familiari e rassicuranti hamburger e bistecche.
A cena con il primo ministro giapponese Shinzo Abe, Trump e signora si sono rifocillati con scaloppine Hokkaido alla griglia, bistecche e sundae al cioccolato, come riportato da Bloomberg, facendo pure salire le quotazioni della catena di ristoranti in qustione del 7% nel giro di un giorno. Non pago, recatosi al campo di golf, il presidente americano si è sbafato un succulento hamburger, confezionato appositamente per lui da una nota catena di hamburgerie e fatto esclusivamente con manzo americano. Gusti personali, certo, ma anche un modo per ribadire l’orgoglio di essere americano: io sono americano, diceva l’hamburger di Trump. Un nazionalismo, che in questi tempi di globalizzazione impostaci in ogni modo e di politically correct portato all’estremo, può suonare fuori luogo per qualcuno. Infatti, i commenti sui social si sprecano, da chi lo accusa di cafonaggine e mancanza di rispetto verso il Paese ospitante (dimenticandosi che probabilmente nessuno si sarebbe scandalizzato se al primo ministro giapponese in visita in America fossero stati offerti pranzi basati sulla sua cucina d’orgine) a chi ricorda che il correttissimo Obama, in analoga occasione, si era buttato su sushi e cibi tradizionali, ma anche chi lo sostiene e ne fa notare la coerenza: nel 1990, non ancora Presidente e recatosi ugualmente in Giappone, Trump aveva fatto sapere che “non vado certo lì per mangiare del fottuto pesce crudo”. E ora, a quasi vent’anni di distanza, Trump la pensa ancora così. Quale altro politico avrebbe la stessa ferma coerenza?

venerdì 27 ottobre 2017

DIVENTA PROTAGONISTA: e la rabbia radical chic esplode




Allora, sta facendo discutere in questi giorni l’adozione di un sussidiario, presso alcune scuole elementari, che è stato protamente definito razzista, discriminatorio e ricoperto di insulti dalla maggior parte della platea radical chic, etica, politically correct e pure - perchè no - vegana, in relazione ad alcuni passi in tema di immigrazione. Inoltre, il sussidiario, riportante in copertina un bambino occhialuto e vestito a mo’ di ingegnere edile e una bambina che trasporta un vaso in testa come un’antica ancella romana, è stato pure tacciato di bieca discriminazione di genere. Persino il titolo del libro, “Diventa protagonista”, è stato visto da alcuni come un insano incitamento alla competizione e alla voglia di primeggiare, invece che come uno sprone a porsi in modo proattivo e propositivo di fronte alla realtà che ci circonda, ponendosi quindi come parte attiva invece di essere semplici spettatori-fruitori.
Ma tornando alle frasi definite “razziste” rispetto all’attuale fenomeno dell’incontrollata immigrazione di massa, i passi incriminati sono stati questi: ''È aumentata la presenza di stranieri, provenienti soprattutto dai paesi asiatici e del Nord Africa. Molti vengono accolti in centri di assistenza per i profughi e sono clandestini, cioè la loro permanenza in Italia non è autorizzata dalla legge. Nelle nostre città gli immigrati vivono spesso in condizioni precarie: non trovano un lavoro, seppure umile e pesante, né case dignitose. Perciò la loro integrazione è difficile: per motivi economici e sociali, i residenti talvolta li considerano una minaccia per il proprio benessere e manifestano intolleranza nei loro confronti''. 
Ecco, queste poche, semplici frasi hanno scatenato un putiferio, plateee di ignoranti politacally correct hanno tacciato il libro di nefandezza in quanto identificherebbe ogni immigrato come un “clandestino”, nonostante si legga chiaramente che “molti” di essi sono clandestini, ovvero privi dei requisiti legali per arrivare e sostare sul territorio nazionale, e non “tutti”. Considerando che circa il 60% dei richiedenti asilo non possiede i requisiti necessari, la frase risulta quindi perfettamente corretta, sia come forma che come sostanza.
Eppure, nonostante questo, c’è stata una vera e propria levata di scudi contro il testo in questione, reo, secondo alcuni - tra cui anche noti professori che hanno evidentemente più dimestichezza con Facebook che con la lingua italiana – di istigare alla violenza contro gli immigrati, facendo “apologia” di non si sa bene quale crimine contro i profughi, tesi ad esempio portata avanti in data odierna dalla giornalista Monica Gentili, che con Alessandro Milan conduce un programma radiofonico mattutino su Radio24.
Allora, se l’italiano e la consequenzialità dei periodi non sono un’opinione, dire che “molti” immigrati non sono in regola con la normativa nazionale non è un errore né un inno alla discriminazione razziale, bensì la pura verità. Il fatto che “molti” richiedenti si trovino in questa condizione non significa che lo siano tutti, e chi afferma il contrario lo fa a ragion veduta e con chiaro intento di sollevare gli animi dei semplici.
Il “diventare protagonisti”, come suggerisce il titolo, non significa sottomettere l’altro, voler primeggiare a tutti i costi o porsi in situazioni di superiorità, ma semplicemente di avere quell’atteggiamento razionale e proattivo che ha portato la nostra civiltà alle attuali conquiste tecnico-scientifiche e quindi all’attuale benessere
E la bambina vestita da ancella? Beh, piaccia o no, nel passato questa figura è esistita, e voler leggere in questa immagine una “discriminazione di genere”, sinceramente, mi sembra una grande forzatura giusto un filo strumentale.
Oh, ragazzi, ma datevi una calmata! Essere buonisti, etici e radical chic è sicuramente molto trendy, popolare e forse vi può fornire un lasciapassare per i “salotti buoni” delle vostre conoscenze. A patto però di non oltrepassare certi limiti e sconfinare nel ridicolo. E in questo caso, tali limiti si sono ampiamente superati.

martedì 5 settembre 2017

PER I NORVEGESI I CANNOLI SICILIANI SONO "I DOLCI DELLA MAFIA"



"La pistola lasciala. Pigghiati i cannoli!"
E’ questa una delle più famose scene de “Il Padrino” in cui, dopo aver ammazzato un poveraccio nell’abitacolo della propria auto, uno scagnozzo malavitoso porge il pacchetto di dolci appena acquistati al complice che se ne sta andando: peccato sprecare tanto ben di Dio.
Ed è probabilmente questa la scena che i norvegesi avevano in mente quando hanno riportato, sul sito della TV nazionale, la ricetta dei famosi dolci siculi presentandoli come “I dolci della mafia”.
Una trovata sicuramente d’effetto per catalizzare l’interesse su uno dei dolci più rappresentativi dell’isola, quei cannoli che tutti noi, mafiosi o no, ci godiamo con sommo piacere soprattutto quando abbiamo la fortuna di poterli assaporare in loco, fatti come Dio e tradizione comandano, ma che, in mancanza, riusciamo ormai comunque a trovare anche nelle nostre maggiori metropoli, in versioni comunque (a volte) oneste e discrete.
Ed è forse proprio questo, in realtà, il nocciolo della questione: nei patrii lidi, nella nostra Italia, da Torino a Cagliari, da Bergamo a Cosenza, non abbiamo alcun bisogno di definire i cannoli con qualche appellativo che li specifichi maggiormente: per noi sono “i cannoli” e basta o, al limite “i cannoli siciliani”, per distinguerli da quelli, più diffusi nel nord Italia, fatti di pasta sfoglia e ripieni di crema pasticciera o zabajone.
Invece - paese che vai, usanza che trovi – per i norvegesi i nostri amati cannoli siciliani sono semplicemente “i cannoli della mafia”. 

Inutile stracciarsi più di tanto le vesti, inutile gridare “allo scandalo” ogni volta che il nostro Paese viene in qualche modo associato al solito stereotipo “pizza, mafia e mandolino”. Così è, lo sappiamo ed è inutile ogni volta farne un dramma nazionale.
Se ne faccia una ragione anche il lettore del Giornale di Sicilia che, scovando “l’insolita” accoppiata Italia-mafia, o meglio cannoli-mafia, non ha potuto trattenere l’indignazione contattando senza indugio l’ambasciata italiana a Oslo, da cui, peraltro, al momento non ha ancora ricevuto risposta.
Certo, rimane comunque l’evidenza di un titolo di dubbio gusto, un modo discutibile per attirare l’interesse degli utenti, ma soprattutto il disappunto per un appellativo che non rende giustizia ai croccanti involucri di pasta farcita di morbida crema di ricotta, soprattutto per il suo valore limitativo: i cannoli siciliani sono graditi a tutti in tutta la penisola e fuori, ricchi o poveri, giovani o anziani, onesti e delinquenti, mafiosi o camorristi, senza distinzione di sesso, razza, religione né, tantomeno, di tipologia di associazione a delinquere.

venerdì 11 agosto 2017

LA FOCACCIA LIGURE E' MORTA E SEPOLTA, E ORA SI FA CON LO STRUTTO. STRUTTO? STRUTTO???



Ah, che bontà, che delizia, che beatitudine infinita la focaccia ligure. Morbida, fragrante, magari pure bella calda appena uscita dal forno, se sei fortunato, e con quei begli “occhi” chiari e unti, dove l’impasto è più crudo e l’olio di oliva si unisce voluttuoso all’impasto ancora morbido.
Sembra persino impossibile che una tale squisitezza sia frutto di soli quattro ingrendienti in croce: farina, acqua, lievito, sale e olio d’oliva, (ok, sono cinque) meglio se extravergine e ancor meglio se ligure
E infatti, non è così.
Alla ricetta classica, tipica e tradizionale ligure ormai infatti è d’obbligo inserire un sesto elemento.
Lo strutto.
Strutto, sì.
Il bianco grasso di porco che ormai ha preso dimora stabile presso la focaccia genose, o ligure che dir si voglia. Fateci caso: forni e panetterie espongono (quasi) tutte, come d’obbligo, la lista degli ingredienti, e in ogni panetteria ligure, dal ponente al levante, da Imperia a Genova troverete il magico sesto elemento: strutto.
Ma la focaccia, la focaccia ligure, non dovrebbe contenere solo olio di oliva, che c’entra lo strutto, ma perché, ma quando è iniziata ‘sta deriva?
Con questa domanda mi sono rivolta  a un conoscente che ha un panificio a Vado ligure, ridente cittadina vicino a Savona, e la risposta è stata semplice. Innanzi tutto mi è stato confermato che 1) sì, la vera focaccia ligure lo strutto non dovrebbe vederlo manco da lontano 2) in realtà, tutti i fornai ne fanno uso, in quantitativi oltreutto industriali, e infatti farina e acqua vengono letteralmente impastati insieme a vagonate di strutto 3) perché? Semplice: lo strutto pare avere diverse qualità: non solo è gustoso, e dà un particolare aroma alla focaccia, ma soprattutto serve a rendere l’impasto più morbido e,  una volta cotto, a dar luogo a un prodotto che rimane soffice più a lungo: in  parole povere, una focaccia senza strutto, se non magistralmente eseguita, rischia di essere più asciutta e oltretutto di seccare velocemente. Lo strutto, eviterebbe in parte tutti questi sgradevoli effetti collaterali (il condizionale è d’obbligo in quanto non solo non sono un’esperta di focacce,  e quindi come me l’han venduta così la riporto, ma disgraziatamente nemmeno una scienziata, quindi non so effettivmante come le molecole che compongono lo strutto, che è un grasso solido a temperatura ambiente, come il burro, si comportino rispetto a quelle che si trovano  nell’olio).

Detto ciò, fateci caso: se siete in Liguria, andate in giro per panifici, osservate la lista degli ingredienti, oppure chiedete al fornaio, e rassegnatevi: quel gusto lì, sì, proprio quello lì che vi piace tanto, è dato per la maggior parte dallo strutto. Per me, nessun problema, se non il rammarico di non poter gustare, nemmeno nella patria di origine,  una vera focaccia ligure come Dio comanda e come da ricetta tradizionale. Per vegani e vegetariani, invece, la faccneda si complica, e saranno posti di fronte a un’ardua scelta: o cambiare religione, oppure rinunciare per sempre alla focaccia. Quella ligure, ovviamente.

mercoledì 9 agosto 2017

FATTO IN CASA DA BENEDETTA: IL TIRAMISU' con "uova fresche" e i miei commenti cancellati





Premessa: ognuno sul proprio blog o sulla propria pagina Facebook ci scrive quello che cavolo gli pare -  e ci mancherebbe altro -  nei limiti ovviamente di quanto stabilito dall’ordinamento giuridico, dalla decenza e dal rispetto reciproco (o almeno così dovrebbe essere)
Premessa n. 2: è, o dovrebbe essere, altrettanto pacifico che se uno si espone su un social network e ha vagonate di followers, dovrebbe comunque accettare di buon grado commenti e opinioni diverse dalle proprie, sempre, ovviamente, se espressi con cortesia, educazione e rispetto.
Non mi sembra di aver mancato in alcuna di queste caratteristiche, quando ho postato un mio commento sulla seguitissima pagina facebook “Fatto in casa da Benedetta”, che seguo, o meglio seguivo, sempre con piacere per le ricette semplici e veloci e per il viso materno e confortante della fondatrice del blog,  che termina tutti i suoi video assaggiando con gusto quanto appena preparato.
Bene, ieri, sulla pagina Facebook di Fatto in casa da Benedetta è  stata postata la ricetta di un gradevole tiramisù, ovviamente “fatto in casa”. Talmente fatto in casa che le uova, sia tuorli che albumi, erano inseriti crudi, non pastorizzati, come piace tanto ai sostenitori del “mia nonna faceva così” o del “come una volta”, spesso dimentichi del fatto che una volta  la gente moriva per la salmonella veicolata dalle uova senza manco saperlo e i bambini morivano per brucellosi da latte appena munto, pure loro senza saperlo. 
Ma il fascino perverso della nonne è duro a morire, tanto quanto le farneticazioni degli antivaccinisti, e allora via di metodi tanto all’antica quanto potenzialmente pericolosi.
Uno dei primi commenti di un utente  chiedeva infatti il motivo per cui non venissero pastorizzate le uova, procedimento semplicissimo da fare anche in casa e consistente praticamente nello scaldare un po’ di zucchero con acqua, prima di rovesciarlo sulle uova, per diminuirne la carica batterica; a tale commento Benedetta rispondeva genuinamente e candidamente che “io non pastorizzo le uova, ma uso solo uova freschissime di categoria A, reperibili in ogni punto vendita”, come se la freschezza fosse in rapporto diretto con l'assenza del batterio della salmonella o altri simili.
La stessa identica cosa rispondeva ad altri commenti di altri utenti sempre in riferimento alla mancata pastorizzazione delle uova e sul rischio di salmonellosi.
Di fronte a questa palese mancanza di informazione, non ho potuto fare a meno di dire la mia, esprimendo quanto ormai di pubblico dominio in un commento cortese e gentile ma nello stesso tempo molto esplicito. Questo: 
“La freschezza delle uova non a nulla a che vedere con il batterio della salmonella. Utilizzare uova crude nei dolci può  andar bene 99 volte, o anche sempre, ma alla centesima può andar male, e quando va male, va male di brutto. La salmonellosi infatti può essere letale – e fatti drammatici dall'esito fatale si sono già verificati- soprattutto riguardo ai bambini.  Con la salute non si scherza”.
Posto il commento a metà pomeriggio.
Verso sera torno sulla pagina e…..mistero, il mio commento è sparito!
Mah, forse non l’avrò salvato, forse c’è stato un inconveniente con la  rete, forse... mah....Ad ogni modo, lo ri-posto in serata, uguale uguale.  E stamattina controllo: sparito di nuovo!  
Provo allora a re-inserirlo, per la terza volta, e….sorpresa: non riesco nemmeno più a commentare: sono stata bloccata! Posso sì ancora vedere post e commenti altrui, ma non posso più inserirne di miei.
Evidentemente, le mie argomentazioni sulla salmonella e sulle uova crude sono state giudicate improprie, indecorose e soprattutto inopportune per quello che si vuole imporre come il re dei blog del “fatto in casa”, della neo - religione del genuino, semplice,  del “come una volta”. Peccato che una volta si morisse di salmonella. Molto di più rispetto a quanto, grazie alla maggiore conoscenza  e a minime accortezze quotidiane, tra cui il pastorizzare le uova in casa, non accada oggi.
Ed è un peccato che chi ha la responsabilità di essere comunque un personaggio pubblico, con migliaia e a volte milioni di follower, faccia passare il messaggio che tali pratiche di igiene minima siano solo artifici da apprendisti stregoni, inutili vezzi da fanatici senza nerbo, un qualcosa di tanto inutile quanto superfluo da essere relegato in un semplice "io non le pastorizzo ma tu se vuoi puoi farlo" soltanto per qualche click in più e per compiacere l'esercito sempre più compatto dei fautori del “io ho sempre mangiato uova crude e non sono ancora morto” (anche perchè chi è passato a miglior vita, purtroppo, non è qui a raccontarlo)

Non seguirò  più il sito in questione, con gran gioia, immagino, della titolare, la quale ha dimostrato di gradire così poco i miei commenti: da semplice sito senza pretese di una simpatica casalinga che proponeva ricette senza fronzoli, è diventato in pochi anni un sito pretenzioso - anche se di una pretenziosità mascherata sotto una spessa coltre di "genuinità"  - ,  che sotto  l’emblema del “fatto come una volta” invita i vip del momento, che siano la scrittrice Sveva Casati Modignani o Mara Maionchi, e che in nome del “fatto in casa”, del "genuino" e dell' immenso consenso a questi concetti collegato non esita a diffonder, immagino  consapevolmente, pratiche errate e potenzialmente rischiose per migliaia di utenti innamorati del guru, o meglio della guru, di turno. 
Che questa vesta ostentatamente, e onestamente, i panni esclusivi e trendy di Chiara Ferragni o quelli più ricercatamente dimessi e alla buona di Benedetta.

Foto dal web

venerdì 21 luglio 2017

FONDAMENTALISMO VEGANO NELLE MENSE SCOLASTICHE TORINESI



E alla fine, le minacce sono diventate realtà.
E a farne le spese per primi, come sempre, sono i più deboli, che in questo caso sono rappresentati dai piccoli fruitori delle mense scolastiche torinesi.
A loro, per un giorno al mese solo per iniziare, saranno categoricamente proibiti noti cibi killer quali polli arrosto e patatine fritte, polpettine al sugo e polentine con formaggio, già tristemente famosi per aver spedito al Creatore battaglioni di pargoli affamati.
Per un giorno al mese, i piccoli alunni saranno infatti costretti per pranzo a  cibarsi esclusivamente di minestrone di cavolo nero e insalatina di carote, lenticchie in umido e fagioli in insalata. Una vera festa, per loro, nonché il giusto  nutrimento dopo cinque lunghe ore di lezione.
D’altronde, Chiara Appendino, il sindaco cinque stelle del capolougo sabaudo, era stata chiarissima quando, all’inizio del suo mandato, aveva inserito nel programma di governo la promozione di Torino come città “vegan friendly”, facendo subito infuriare orde di macellai timorosi di perdere il lavoro così come di vecchi torinesi affezionati agli agnolotti al sugo d’arrosto e ai bolliti misti.
Dopo aver fatto quindi fatto parziale dietrofront  di fronte ai più coriacei macellai, l’Amministrazione torinese pentastellata  ha pensato bene di tornare alla carica con il suo programma vegan-salutistico con soggetti meno ostici e problematici, ovvero i bambini, trovando inoltre anche una provvidenziale sponda in legioni di mamme informate, desiderose di nutrire i loro pargoli secondo i più moderni dettami della moda dell’alimentazione, in linea con autoproclamatisi “scienziati” nutrizionisti dai piedi scalzi o secondo le più aggiornate teorie dell’alimentazione lette nell’attesa della piega settimanale su Chi, Vero Cucina oppure su Facebook.
L’unica eccezione rispetto al ferreo e salutare menù vegano sarà rappresentata dal formaggio: ai 25.000 piccoli fruitori delle mense torinesi, l’Amministrazione Comunale permetterà ancora – bontà sua – di insaporire la pastasciutta al ragù (di verdure, ovviamente) con una grattugiata di Parmigiano Reggiano, unica consolazione per i piccoli affamati tra un mesto piatto di zucchine in umido e una triste insalata di carote.

Una piccola gioia di origine animale, di fronte a tanto fondamentalismo vegano.

giovedì 20 luglio 2017

FATTO IN CASA DA BENEDETTA: L'ABBIAMO PERSA...





E così, Benedetta, ci sei cascata pure tu.  Pure tu vuoi  fare l’influencer.  E dillo, dai.
Dillo che pure tu hai ceduto al fascino dell’influenzatore seriale, tu, che con le tue ricette firmate “Fatto in casa da Benedetta” ci avevi insegnato che un mondo  diverso, senza xantana e planetarie ma fatto ancora di farina e di frullini può ancora esistere dignitosamente.
Tu, che con le tua faccia rassicurante e le tue torte casalinghe rigorosamente infornate in normalissimi  - e forse un po’ volutamente retrò   - stampi in alluminio rotondi, invece che a forma di Torre Eiffel o di razzo ovoidale, ci hai ri-abitutati alla normalità in cucina senza la smania di dover eccellere o credersi tutti dei novelli Scabin o Montersino del focolare domestico.
Tu, che una pubblicità  occulta a un prodotto manco morta, anzi, che ricopri le confezioni dei prodotti che usi nei tuoi video con delle spartane etichette home made per nascondere la marca; tu, insomma, così ruspante e fuori dagli schemi.
Che bisogno avevi di farlo?
Che bisogno avevi pure tu di cascare nella voragine degli influencer, che con la scusa di condividere scenette di vita vissuta intasano il web con scatti dei loro pargoli, dei loro cani, dei loro piedi nudi e dei loro denti  infilandoci dentro, con estrema nonchalance, una pubblicità dei surgelati qui e una delle pappe per bambini là?
Eppure ci sei cascata pure tu, e la bucolica immagine del tuo grande cagnone che appoggia il suo muso serafico sul tuo vezzoso grembiulino ricamato, ne è la dimostrazione: anche tu vuoi fare l’influencer, anche tu vuoi cominciare a deliziarci con attimi di vita quotidiana, come la più scaltra delle blogger d’assalto alla ricerca affannosa di pubblico e di click.
Ma tu, Benedetta, che bisogno ne avevi? Eri l’unica a resistere con la tua immagine mite e rassicurante mentre con gioia ti gustavi, alla fine di ogni filmato, il frutto delle tue fatiche, e ora invece ci vieni a tediare con attimi del tuo vissuto quotidiano di cui, sinceramente, potremmo fare tranquillamente a meno.
Oltretutto,  perché proprio quell’immagine, perchè fare scaltramente adagiare il muso del tuo amico peloso proprio sul grembiulino da cucina?
Davvero non sospettavi che qualche “fanatico dell’igiene” -  quell’igiene che una volta era un principio indiscutibile in cucina,  e ora solo vezzo per vecchie carampane -  non avrebbe puntualizzato che sì, belli i cani, bravi i cani, ma tutti con quell’insopprimibile istinto di annusare allegramente con il muso il  didietro e le deiezioni corporali dei loro simili, proprio quello stesso muso che poi appoggiano su quel grembiule da cucina dove poi ti pulisci le mani mentre prepari il tiramisù?  
Davvero non prevedevi che poi  sarebbero seguiti una sfilza di commenti, centinaia, migliaia, in difesa delle povere bestie accompagnati dal solito, vecchio ritornello che recita che ad essere sporchi, beceri, zozzoni e degni di dispregio sono gli uomini e non certo  i cani?
Davvero, Benedetta?
Bene, se hai scelto vai, vai per la tua strada di influencer e non ti girare indietro verso di noi, nostalgici fuori moda. Va’, e sii felice.
Una cosa, però, lasciacela dire: di Benedetta, così semplice e rassicurante, ce n’era solo una. Di Chiara Maci, invece, una è già abbastanza.


mercoledì 19 luglio 2017

MA TU GUARDA IL CASO: I POST FOTOCOPIA CHE CIRCOLANO IN RETE. Episodio 3: come pulire la vostra cucina





Prosegue la saga dei post “ma guarda tu il caso”, post che la sottoscritta ha avuto l’onore di scrivere per Dissapore e che poi, guarda caso, ricompaiono pochi giorni dopo praticamente uguali su altre riviste di cibo.
Questa volta si tratta di un articolo di igiene domestica, sul tipo di nonna papera o anche sul modello dei vecchi ricettari di una volta, che insieme alle ricette consigliavano a casalinghe e massaie come levare al meglio le macchie da mobili e indumenti. 
Il post ha preso spunto da un articolo,  in lingua inglese, comparso su Bon Appetit, e che la sottoscritta, come sempre, ha cercato di riportare non semplicemente come becera traduzione ma cercando di metterci un minimo di personalità, qualche nota di colore qui e là, giusto per dare un po' di tono.
Bene, il post è comparso originariamente su  Dissapore in data 9 luglio per poi ricomparire, in data 17 luglio, in un’altra rivista di cucina, la stessa a cui tra l'altro è dedicato anche il secondo episodio di questa fortunata serie e relativo alla carbonara “sbagliata” di Nigella Lawson. 
Come al solito, le “similitudini” di cui il caso ha voluto disseminare i due post sono evidenziate in rosso, ma ciò che più è interessante è la frase di chiusura finale, dove la sottoscritta consigliava, dopo tanto lavoro, di concedersi un bel bicchiere di acqua fresca e soprattutto pulita, se ci si fosse presi la briga di pulire il dispensare dell’acqua. 
Frase riportata praticamente uguale nel post-fotocopia. 
Eh, guarda tu il caso....;-)
Nota: come al solito, in rosso sono evidenziate le "similitudini", mentre in corsivo sono le parti simili ma in quanto derivanti dalla traduzione dell'articolo originale. Inoltre, il sito che ha pubblicato il post - fotocopia, è stato rinominato "ma tu guarda il caso": nessun nome più adatto...

1) Dissapore, come pulire i posti più sporchi, 9 luglio 2017

Pulite con regolarità il forno a microonde, lavate coscienziosamente i piatti, quando non usate la lavastoviglie, e le vostre tovaglie sono candide come la neve. E pensate, come la maggior parte di noi, che tutto ciò sia sufficiente a fare della vostra cucina un luogo pulito e immacolato che manco quella di Mastrolindo in persona.
Ma da quanto tempo non pulite l’interno della lavastoviglie, “tanto ci circola sempre l’acqua e quindi è sempre pulita”? Da quanti anni non vi prendete la briga di controllare sotto il frigo e sotto il forno, o magari all’interno del ceppo dei coltelli in bella mostra sulla tovaglia candida? Con un’occhiata più approfondita, potreste purtroppo scoprire che la vostra cucina non è quel luogo lindo e immacolato che dovrebbe essere. Come fare allora, per rimediare a un lungo periodo di incuria e mancate pulizie?Basterà seguire i consigli di Becky Rapinchuk, fondatrice del blog Clean Mama, riferiti dalla rivista Bon Appétit, per combatterete lo sporco nei posti più impensati della vostra cucina. Come questi.

Scarico del lavello otturato o maleodorante
Per quanto siate attrezzati con quei tappi salva-lavello che non permettono ai residui dei cibi di andare giù per lo scarico, qualcosa riesce comunque sempre a infilarsi: basta annusare i gradevoli effluvi che salgono su colpendovi a morte ogni volta che abbassate la testa sul lavandino.Per rimediare, basterà mescolare dentro una tazza del bicarbonato di sodio e del succo di limone in parti uguali, versare tutto nello scarico e lasciare agire per almeno 5 minuti. Fate poi scorrere l’acqua fredda, e un buon profumo di pulito si spanderà per la vostra cucina, mettendo fine alle zaffate maleodoranti cui eravate rassegnati.
Lavastoviglie
No, le lavastoviglie non sono “sempre pulite”, anzi. Ma, fortunatamente, sono anche facili da pulire. Basta versare una tazza di aceto sul fondo della macchina e avviare un ciclo a vuoto, senza piatti: l’aceto scioglierà ogni incrostazione presente all’interno.
Per le incrostazioni più resistenti, invece, soprattutto quelle sugli ugelli spruzzanti, togliete ogni residuo di sporco usando uno stuzzicadenti.Se la lavastoviglie è dotata di filtro, non dimenticate di pulirlo periodicamente, togliendolo dalla sede e strofinandolo con un vecchio spazzolino prima di rimetterlo a posto.Pulire per bene la lavastoviglie servirà a migliorarne l’efficienza e prolungare la durata.

Ceppo dei coltelli
Avete sempre tagliato il pane e rimesso il coltello nel ceppo senza neppure lavarlo. Tanto il pane è pulito, no? Intanto, però, giorno dopo giorno, le briciole hanno preso fisa dimora sul fondo del ceppo, formando uno spesso strato di sporcizia.Per pulire il ceppo, basterà, ovviamente, togliere i coltelli, prenderlo e rovesciarlo sopra il lavandino, scrollandolo bene per far uscire tutte le briciole.Poi, un pezzetto di panno-carta intriso di aceto bianco e arrotolato su un coltello saranno utilissimi per raggiungere gli angoli più incrostati. L’esterno, invece, lavato con acqua e sapone, andrà asciugato subito, soprattutto se in legno.
Ante dei pensili e battiscopa
A un’occhiata superficiale, i pensili della vostra cucina non sembreranno certo gridare pietà come quelli di alcune pubblicità in TV. Invece sono sporchi, molto sporchi, anche se non si vede: provate a passarci sopra una tovaglietta di carta inumidita, e vedrete quanta sporcizia riuscirete a raccogliere!Per pulirli alla perfezione, utilizzate un panno in microfibra intriso di una soluzione composta da acqua e sapone di Marsiglia, che è efficace ma anche abbastanza dolce per pulire le superfici delicatamente.Potrete usare la stessa soluzione anche per i battiscopa e per le credenze. Sì, anche all’interno, già che ci siete.
Lo sporco “sotto”.
Oltre agli spari sopra, c’è anche lo sporco sotto. Per quanto non sempre visibile, infatti, lo sporco si annida anche sotto frigorifero, forni e lavastoviglie. Ovviamente è buona cosa pulire con cura anche quegli spazi. Peccato che non sempre sia così piacevole mettersi a spostare frigo e forno.Meglio allora dotarsi di uno strumento apposito, anche fatto in casa, come un lungo coltello ricoperto con un panno, magari in microfibra, da passare sotto i vostri elettrodomestici. La sporcizia verrà via senza problemi, e senza bisogno di affaticarsi a spostare nulla.E ora, finalmente, dopo tutte queste pulizie, potrete concedervi un rinfrancante bicchierone di acqua dissetante, fresca e, soprattutto, pulita: ovviamente, se avrete pulito a dovere il dispenser del frigo.

2) "Ma tu guarda il caso", 18 luglio 2017


Siete convinti che la vostra cucina sia pulita? Anche se vi impegnate ogni giorno per mantenerla in ottime condizioni, sgrassate il forno a microonde e i fornelli e fate in modo che non ci sia nemmeno una briciola sui ripiani, ci sono alcuni punti che anche i più attenti trascurano. Qualche esempio: quanto tempo è passato da quando avete pulito le ante della credenza? E il ceppo portacoltelli?
Ecco i consigli di Becky Rapinchuk, autrice del blog Clean Mama.
1. Scarico del lavello. Anche se avete il filtro di metallo che trattiene i pezzi di cibo e fa in modo che non blocchino il lavello, molti residui finiscono comunque nello scarico. Per pulirlo scarico senza chiamare un idraulico, e in modo naturale, Rapinchuk suggerisce di mescolare ¼ di bicchiere di bicarbonato e di ¼ di tazza di succo di limone, e versare il composto nello scarico, lasciandolo agire per almeno cinque minuti. Poi lasciate scorrere dell’acqua fredda: il lavello tornerà a odorare di fresco e sarà ripulito da tutti i residui di cibo.
 2. Lavastoviglie. Fortunatamente, sono facili da pulire. Versate una tazza di aceto sulla base della lavastoviglie (all’interno, dove ci sono le cremagliere, e non sulla porta) e eseguite un ciclo di lavaggio a vuoto, senza piatti. L’aceto elimina eventuali depositi minerali che potrebbero essersi accumulati. Estraete anche il filtro, pulitelo con un pennello morbido, risciacquatelo e rimettetelo al suo posto. Un po’ di manutenzione alla lavastoviglie la manterrà più efficiente e la farà durare più a lungo.

3. Ceppo dei coltelliVi capita di tagliare il pane e rimettere il coltello a posto senza lavarlo? Quelle briciole andranno pure a finire da qualche parte. Per pulire il ceppo, togliete tutti i coltelli e svuotatelo sul lavandino, scuotendolo. Poi mettete un po’ di aceto bianco su un tovagliolo di carta, avvolgetelo attorno ad un coltello e fatelo scivolare in ogni fessura. Pulite l’esterno con sapone e acqua e asciugate immediatamente, soprattutto se è il ceppo è in legno.
4. Ante. Probabilmente non vi sembrano sporche, ma ci passate un tovagliolo di carta, vedrete quanta polvere hanno raccolto. Utilizzare un panno in microfibra inumidito con un miscuglio di acqua e sapone. Potete usare questa soluzione anche per pulire l’interno.
5. Dispenser dell’acqua. Immergete una piccola spazzola nell’aceto e pulite l’interno e l’esterno dell’erogatore. Potete anche usare uno spazzolino, purché sia  pulito e nuovo. Poi, fate scorrere dell’acqua per assicurarvi che l’aceto defluisca. 

Ora versatevi un bicchiere di acqua fresca: lo meritate, dopo tanto lavoro.

MA TU GUARDA IL CASO, I POST FOTOCOPIA CHE CIRCOLANO PER IL WEB. LA CARBONARA DI NIGELLA



Prosegue la simpatica rubrica intitolata “ma tu guarda il caso”, e che raccoglie tutti le occasioni in cui, guarda tu il  caso, alcuni post scritti dalla sottoscritta per Dissapore si ritrovano, dopo un paio di giorni, ri-pubblicati a volte praticamente uguali da parte di altre testate, riviste o media.
Certo, molti di questi non sono a livello del post che si è guadagnato la palma d’oro, e qui riportato, e dove il caso ha voluto che l’ignaro articolista fosse ispirato proprio con le stesse, identiche, medesime parole della sottoscritta, ma ad una attenta lettura si nota comunque come il caso ci abbia comunque messo anche qui lo zampino, facendo registrare delle curiose uguaglianze
Tra l’altro, è vero che molti di questi post riguardano articoli di riviste straniere, per lo più americane o inglesi, ma è anche vero che nel tradurle la sottoscritta ha anche cercato di dare un’impronta personale, una nota distintiva che, guarda caso, è poi stata ritrovata anche negli articoli di altre riviste. Eh, il caso, questo dispettoso…
Ad ogni modo ecco il secondo episodio della telenovela sui post fotocopia, e che rigurda il recente episodio della ricetta di carbonara pubblicata da Nigella Lawson. Su Dissapore è comparso il 6 luglio, e 2 giorni dopo, l’8 luglio, è comparso su un'altra nota rivista di cibo.
 Non solo Nigella viene definita in entrambi i casi “dea dei focolari”, ma addirittura l’elenco delle sviste riportate nella ricetta della cuoca inglese sono praticamente le stesse ed  elencate nel medesimo ordine in entrambi i post, persino lasciando inalterati i nomi degli ingredienti come Parmesan quando si è deciso di non tradurli con il corrispondete italiano “Parmigiano” o quando si nota, in modo del tutto personale, che la panna non dovrebbe essere necessaria per aggiungere cremosità alla preparazione, cremosità che dovrebbe essere garantita solo da un magistrale connubio tra uova e formaggio.

Post Dissapore, 6 luglio 2017
“Nigella, sei una donna meravigliosa, ma le tue ricette sono la MORTE della cucina italiana, davvero. Niente panna nella carbonara, MAI, solamente uova”

Come dar torto alla lettrice che ha commentato la versione rivisitata e (s)corretta della carbonara da parte di Nigella Lawson, cuoca tv, dea dei focolari inglesi e icona curvilinea per antonomasia?

Ma magari fosse solo per la panna.
Certo, un errore soltanto da matita blu che, ammettiamolo, alcuni di noi commettono ogni giorno per dare quel tocco di cremosità in più alla carbonara che invece, dovrebbe essere il risultato di un semplice, ma magistralmente eseguito, connubio tra uova e formaggio.
Nigella, invece, nella sua allucinata versione del piatto romano, oltre alla panna riesce a ficcare la pancetta al posto del più ortodosso guanciale, e pure un goccio di vino bianco, o perché no vermouth, giusto per gradire.
Ma panna, vino, vermouth e pancetta a parte, Nigella commette anche un altro errore: tralascia infatti del tutto il pecorino, rimpiazzato dal più popolare, almeno nella terra di Albione, “Parmesan”.
Ignominie che hanno provocato una sfilza di commenti negativi, alcuni pacati, come quello della lettrice che scrive “è una tua ricetta, non è la carbonara. Niente vino, niente panna, soltanto uova nella vera carbonara italiana”.
Altri più coloriti, che indicano come la bella Nigella, al pari di altri suoi colleghi inglesi, in Italia potrebbe al massimo lavare i piatti.
A Nigella non manca comunque il sostegno dei fan, che scrivono, ad esempio:
“Non dar retta a questi idioti: la panna dona più cremosità alla carbonara, io la aggiungo sempre. Gli italiani fanno tanto i pignoli sulle loro ricette, e non amano le sperimentazioni culinarie; ma è un vero peccato, perché alla fine continuano a mangiare le stesse cose, sempre e sempre. E si prendono troppo sul serio”.
Capito, Nigella? Ci prendiamo sul serio. Soprattutto quando si parla di carbonara.

Post "ma tu guarda il caso", 8 luglio 2017

La guru inglese della cucina è fortissima in molte ricette, ma ha delle idee alquanto bizzarre circa la carbonara. Ecco la ricetta dello scandalo
Nigella Lawson la giornalista e conduttrice televisiva inglese incoronata a dea del focolare domestico, questa volta l’ha combinata grossa. In uno dei suoi recenti post ha infatti proposto la ricetta della carbonara facendo infuriare italiani e foodie di tutto il mondo
 Eravamo pronti a perdonarle l’uso della pancetta anziché del tradizionale (e più adeguato) guanciale: del resto reperirlo all’estero potrebbe non essere immediato e Nigella è nota per proporre ricette semplici, adatte a essere preparate anche dai cuochi meno esperti. Notiamo con orrore che l’alternativa proposta alla pancetta è il lardo, meglio proseguire!
Ma la panna? Era necessario inserire la panna nella ricetta? No. La risposta in coro del web (e non) è no. La cremosità della pasta data dal giusto equilibro tra uovo, formaggio e magari una cucchiaiata di acqua di cottura, non ha niente a che vedere con la panna e pensare di ottenerla aggiungendo un ingrediente così grasso e corposo è un’ingenuità.
Oltre a non comparire in nessuna delle versioni della ricetta originale infatti, la panna modifica il sapore della carbonara fino a confondere i piacevoli contrasti regalati da uova, guanciale, grana, pecorino e pepe in una crema che ha poco a che vedere con la preparazione romana.
Ma gli errori non finiscono qui. Oltre a confondere pancetta e guanciale e suggerire di utilizzare la panna, Nigella consiglia di aggiungere alla ricetta un po’ di vino o addirittura vermouth. Siamo all’oscuro delle eventuali ragioni che l’abbiano portata a suggerire di sfumare vino o vermouth sulla pancetta che si rosola, ma è inutile dire che l’unico risultato potrebbe essere un’alterazione del gusto della preparazione. Ma le dimenticanze e le fantasie di Nigella non finiscono qui: dov’è il pecorino? Suggerire semplicemente “Parmesan” è un’imperdonabile semplificazione che allontana il piatto sempre di più dai sapori tradizionali romani.
Per concludere nella ricetta non si fa menzione di tuorli, ma è bene ricordare che sono l’unica parte delle uova da utilizzare nella ricetta.

E allora per non fare come Nigella, ecco un articolo nel quale abbiamo spiegato i segreti della ricetta.