Un grande piatto bianco e
immacolato, in cui languono tristemente tre minuscoli bocconcini di materia
indistinta e, accanto, il tagliente commento: “NULLA DI PESANTE Questo è un antipasto. Non so cosa ho mangiato
perché non sono riuscita a sentire il sapore (merluzzo mantecato c'era
scritto). Ma questi chef...?!”.
Nessuno stupore, se il
commento provenisse da uno qualsiasi di noi, comuni mortali. Peccato che foto e
commento provenissero da Milena Gabanelli, la giornalista di storiche inchieste
su Report ora passata al Corriere della sera. Ed è proprio dal suo profilo
aziendale, DataRoom, che la Gabanelli ha sparato il suo pistolotto anti-casta,
o meglio anti-chef, rimarcando la deriva inesorabile di considerare i piatti
dei grandi chef come vera e propria arte, cui non si devono più abbinare parole
comuni come gusto, sapore e altre bassezze simili, ma che sono degni
esclusivamente di appellativi che un tempo erano destinati a ben altri tipi di
arte. Nomi quali “opera d’arte”, percorso degustativo” “esperienza
sensoriale”, “equilibrio compositivo” sono i termini di cui far sfoggio per
dimostrare la nostra competenza e il nostro rango, e giudicare un piatto
esclusivamente dalla qualità, o ancor peggio dalla sua quantità e dal prezzo, è
considerato appannaggio di biechi trogloditi populisti incapaci di leggere
l’arte tra gocce di merluzzo mantecato e fior di cappero essiccato, destinati
senza appello alle fiamme dell’inferno assieme a Salvini con le sue tagliatelle
al ragù e al panino con la mortazza.
E la dimostrazione di questa nuova religione che sta
avanzando, è la generale levata di scudi, soprattutto di giornalisti titolati, che
si è prontamente levata in favore della titolare del ristorante in questione,
lo stellato Marconi di Aurora e Massimo Mazzucchelli, situato a Sasso Marconi,
vicino a Bologna.
Tutti paiono contro la Gabanelli e la sua sortita,
rimproverandole a turno incompetenza, sciatteria, pochezza, ricordandole che
una personaggio come lei, indicato anche dai grillini come eventuale Presidente
della Repubblica, non si possa permettere una tale deriva populista e acchiappa
like, rimarcandole come gli chef stellati diano lustro e vigore al nostro Paese
e alla nostra economia, generino posti di lavoro, e quindi reddito e che è solo
grazie ad essi che ora il nostro
Paese è in cima agli onori del
mondo e bla bla bla..
I più “tecnici” e saputi rimproverano invece
all’ignorante giornalista, con
tanto di dotto etimo sull’aggettivo, come il piatto in questione non fosse un
vero e proprio antipasto, ma un semplice “amuse-bouche”, che i ristoranti
stellati spesso servono prima degli antipasti e che, non comparendo sul conto,
risulterebbero “gratuiti” (dimenticando che in realtà, il prezzo degli amuse-bouche
viene poi logicamente spalmato sui prezzi delle altre portate, e che il fatto
che sia invisibile sul menù non significa che non sia conteggiato).
Non mancano inoltre i soliti commenti, postati da chi la
invita ad andare in trattoria o in osteria, chi le consiglia di mangiare pasta
e patate con la provola, chi, in
un impeto di sdegno e disprezzo, paragona i suoi post a quelli di Salvini
mentre mangia serafico le tagliatelle con il ragù.
Ma accanto a chi chiede scuse immediate da parte della
Gabanelli con testa china e ginocchia sui ceci, c’è anche c’è anche qualche
ramingo populista, di certo anche razzista e sovranista, che ne prende
timidamente le difese: nel piatto incriminato, e in generale in molte opere
degli chef, si trovano “territorio”,
“stagionalità”, “radici”, “percorso” e “memoria”. C’è, insomma, la summa di
questa nuova frontiera del porno che molti si ostinano a chiamare “cibo”, dice
un commentatore. Altri invece, più sarcastici, affermano che da quando hanno
capito che il “pesce veloce del baltico in crema di mais” altro non era che
polenta e baccalà” prendono le giuste distanza dalle “opere d’arte”, mentre
altri ancora mettono in guardia da quello che in effetti è diventata a tutti
gli effetti una nuova religione, assolutista e rigorosa, con un solo Dio, il
cibo. I cui adepti non tollerano nemmeno il minimo dissenso, pena l’esser
esclusi ed esiliati per sempre e con ignominia dal consesso civile.
Da parte mia, che posso dire? Per una volta, grazie, Milena!