Che
poi alla fine Dolce e Gabbana la Cina l’hanno davvero presa per i fondelli.
Ma
non con il primo video, quello incriminato, quello della cinesina alle prese con spaghetti e bacchette e che in fondo è solo insulso, poco efficace commercialmente e zeppo di
stereotipi ma non esattamente “offensivo”, almeno per il concetto che abbiamo
noi occidentali di tale termine.
In
realtà, la vera presa in giro, sottile ma nemmeno tanto, è stata quella del
secondo video, quello di “scuse”.
Un video a prima vista non semplicemente umiliante, ma surreale, assurdo, dove i due
poveri tapini, con una scenografia che richiama troppo smaccatamente eventi ben
più tragici, con un’aria da funerale e bardati fino al collo in una informe
tuta marrone - di sicuro non
proveniente dalle sartorie dei due stilisti - annunciano mestamente al mondo con aria più che contrita di
aver sbagliato, di non aver capito la cultura cinese e di chiedere umilmente
perdono.
Ma
a mio parere alcuni dettagli fanno pensare davvero ad altro, a un secondo
significato, che sa appunto tanto di presa in giro, un modo di irridere un governo, e una cultura, considerati troppo distanti dai nostri, e quindi retrogradi. Insomma, un modo velato per dare degli zoticoni ai cinesi con una farsa. E questo non solo per la scenografia
vagamente (ma nemmeno tanto) di stampo jahadista, con Dolce e Gabbana in
atteggiamento di coloro a cui stanno per tagliare la testa di lì a poco, ma
anche per il tono di voce, specialmente quello di Stefano Gabbana, quello che in questa
storia ci si è trovato invischiato dentro mani e piedi, anche a causa di
commenti non proprio "politically correct" verso la Cina poi prudenzialmente
imputati a un misterioso hacker.
Bene,
il tono dei due stilisti non è in
realtà né dimesso, né contrito: è
monocorde, vuoto, senza enfasi. E appunto, è proprio Stefano Gabbana che, a un certo momento del
discorso, volge gli occhi di lato, come se leggesse un testo. O come se
comunque volesse far capire che sta leggendo un testo scritto.
E
se uno somma questo atteggiamento, questo monologo monocorde, non certo spontaneo o
particolarmente mortificato per quanto fatto in precedenza, la scenografia
inquietante e allusiva, gli abiti a mo’ di tuta da condannato a
morte, e tutto l’ambaradan, si capisce che i due stilisti vogliono
lanciare un messaggio, oltre quello che viene emesso dal semplice suono delle loro parole; e
il messaggio suona più o meno così: vi abbiamo fatto uno spot simpatico, forse
bruttino ma inoffensivo, e voi,
con questa scusa, volete bloccare i nostri affari in Cina per motivi
protezionistici, per interessi commerciali, facendoci perdere una barca di
soldi. Allora, noi scusa ve la chiediamo, vi scodelliamo un video di scuse come
le volete voi, anzi, di più: vi prendiamo anche "sottilmente" in giro accostando
la vostra società e mentalità a quella degli invasati della guerra santa e
delle macabre esecuzioni di “infedeli” vari. Tutto, facciamo, basta che ci lasciate vendere i nostri
vestiti anche nel vostro immenso Paese.
Anche perché i cinesi - o meglio i potenziali clienti - , come ricorda
Gabbana, “sono davvero tanti”. Mica vuoi perderli tutti per un video cretino?