domenica 12 febbraio 2017

LE POCHE GIOIE DI SANREMO





Quest'anno Sanremo mi ha riservato poche gioie. Come ogni anno, d'altronde.
Due, forse tre i pezzi che mi sono piaciuti. Il  resto è stato solo urla e  melodie trite-
Ma mi è piaciuto tanto Erval Meta. 
E non per la pur gradevole "Vietato morire", con cui si è aggiudicato il terzo posto sul podio, ma per la sua cover di un vecchio pezzo di Domenico Modugno, Amara Terra mia,  che mio padre ascoltava assieme a Louis Armstrong,  ai Platters e a Carosone  quando ero bambina. 
Un brano intenso,  di quelli "spessi", che prende spunto da un canto regionale abruzzese e che Meta ha interpretato  in modo magistrale mantenendo la stessa  calma dolenza dell'originale di Modugno ma arricchendolo di contributi nuovi e personali, come il singolare falsetto finale.  
E ci andava proprio un ragazzo venuto da un'altra terra, dall'Albania, per avere il coraggio di interpretare un brano come questo, lontano dalle mode sincopate dei ritmi attuali e dei testi passe- partout che comunque li giri van sempre bene. 
Diciamocelo:  nessuna delle nostre giovani  "promesse" avrebbe avuto il coraggio di scegliere un brano, e un interprete, così lontano nel tempo e nello spazio dalle mode attuali, così poco cool, così anche "vecchio", diciamolo. Ma "vecchio" nel senso migliore del termine, come si intendeva un tempo, quando vecchiaia era sinonimo di saggezza ed esperienza e non era una parolaccia e uno stato da nascondere dietro penose finte giovinezze, labbra a canotto e jogging nel parco.
E quindi bravo, e intenso Meta, sei stato il mio preferito da subito.
Così come anche Marco Masini, di cui non sono mai stata  una particolare cultrice e che ricordo solo per qualche sporadico pezzo lontanto nel tempo, nonchè  per la sua fama, un tempo, quasi di iettatore, un po' al pari della scomparsa  Mimì. 
Ebbene, il pezzo  - e quando dico pezzo io intendo sempre e soltanto  la melodia e la musica, perchè la parole sono spesso solo un contorno,  un di più che non dovrebbe inquinare la musica pura con messaggi o proclami, come già  fu la scelta di Battisti nei suoi ultimi anni -  il pezzo, dicevo di Masini mi è piaciuto. E molto. Certo, Masini non fa figo come cantare tiritere ritmate con testi da filosofia da bar sport,  ma io, che sono démodé e penso in solitaria, lo dico e lo confermo. Bravo Masini.
Ah, sì, e poi c'è la Mannoia. Sempre intensa e coinvolgente. Lei più che cantare, recita, interpreta intensamente. Ma provate a togliere l'interpretazione magistrale della Mannoia e il testo accattivante, e ascoltare la stessa melodia, la stessa canzone interpretata magari da Emma, o da Elodie: fa un altro effetto, vero? 
E quindi brava Fiorella, non per il pezzo  che sinceramente non mi  è piaciuto, ma per lei, per quel suo modo intenso e vissuto che a molti piace. Ad altri meno, ad altri ancora magari la retorica dell'interpretazione vissuta  non piace proprio per nulla,   ma tuttavia non possono comunque non  riconoscerete il valore e la bravura. E comunque è "lei" che ha vinto, lei, la sua persona, e non il brano. Avesse anche cantato la pappa col pomodoro si sarebbe piazzata lo stesso. 
E poi, c'è  il pezzo vincitore. 
Fa figo, fa trendy, è cool, e la massa lo sta già canticchiando, ballando e scaricando.
D'altronde, è solo questo che si richiede al vincitore di Sanremo, no?



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