domenica 25 novembre 2018

DOLCE E GABBANA, LA CINA E LA PRESA PER I FONDELLI



Che poi alla fine Dolce e Gabbana la Cina l’hanno davvero presa per i fondelli.
Ma non con il primo video, quello incriminato,  quello della cinesina alle prese con spaghetti e bacchette e che in fondo è solo insulso, poco efficace commercialmente e zeppo di stereotipi ma non esattamente “offensivo”, almeno per il concetto che abbiamo noi occidentali di tale termine.
In realtà, la vera presa in giro, sottile ma nemmeno tanto, è stata quella del secondo video, quello di “scuse”. 
Un video a prima vista non semplicemente umiliante, ma surreale, assurdo, dove i due poveri tapini, con una scenografia che richiama troppo smaccatamente eventi ben più tragici, con un’aria da funerale e bardati fino al collo in una informe tuta marrone -  di sicuro non proveniente dalle sartorie dei due stilisti -  annunciano mestamente al mondo con aria più che contrita di aver sbagliato, di non aver capito la cultura cinese e di chiedere umilmente perdono.
Ma a mio parere alcuni dettagli fanno pensare davvero ad altro, a un secondo significato, che sa appunto tanto  di presa in giro, un modo di irridere un governo, e una cultura, considerati troppo distanti dai nostri, e quindi retrogradi. Insomma, un modo velato per dare degli zoticoni ai cinesi con una farsa. E questo non solo per la scenografia vagamente (ma nemmeno tanto) di stampo jahadista, con Dolce e Gabbana in atteggiamento di coloro a cui stanno per tagliare la testa di lì a poco, ma anche per il tono di voce, specialmente quello di Stefano Gabbana, quello che in questa storia ci si è trovato invischiato dentro mani e piedi, anche a causa di commenti non proprio "politically correct" verso la Cina poi prudenzialmente imputati a un misterioso hacker. 
Bene, il tono dei due stilisti non è  in realtà né dimesso, né contrito:  è monocorde, vuoto, senza enfasi. E appunto, è proprio Stefano Gabbana che, a un certo momento del discorso, volge gli occhi di lato, come se leggesse un testo. O come se comunque volesse far capire che sta leggendo un testo scritto.

E se uno somma questo atteggiamento,  questo monologo monocorde, non certo spontaneo o particolarmente mortificato per quanto fatto in precedenza, la scenografia inquietante e allusiva, gli abiti a mo’ di tuta da condannato a morte, e tutto l’ambaradan, si capisce che i due stilisti vogliono lanciare un messaggio, oltre quello che viene emesso dal semplice suono delle loro parole; e il messaggio suona più o meno così: vi abbiamo fatto uno spot simpatico, forse bruttino  ma inoffensivo, e voi, con questa scusa, volete bloccare i nostri affari in Cina per motivi protezionistici, per interessi commerciali, facendoci perdere una barca di soldi. Allora, noi scusa ve la chiediamo, vi scodelliamo un video di scuse come le volete voi, anzi, di più: vi prendiamo anche "sottilmente" in giro accostando la vostra società e mentalità a quella degli invasati della guerra santa e delle macabre esecuzioni di “infedeli” vari.  Tutto, facciamo, basta che ci lasciate vendere i nostri vestiti anche nel vostro immenso Paese. 
Anche perché i cinesi -  o meglio i potenziali clienti - , come ricorda Gabbana, “sono davvero tanti”. Mica vuoi perderli tutti per un video cretino?

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